In Italia le start up fanno più fatica a crescere: nessuna città italiana riesce a farsi spazio nella top 30 degli ecosistemi più performanti e questo non perché manchino le idee o la voglia di innovazione. Ma perché nella Penisola le imprese emergenti trovano più ostacoli? In realtà, l’Italia ha a suo favore tantissime cose: la disponibilità di funding, il knowledge e il talento.
Il problema è che mancano nettamente altre due componenti dell’ecosistema, la ricchezza del mercato e le performance, che si lega a una situazione generale di assenza di regole e strumenti a livello nazionale che facilitino la crescita delle startup. In sostanza, il nostro mercato piccolo e complesso, riesce con fatica a dare sfogo alle tantissime idee che le nostre fucine di cervelli possono favorire. Questa è la differenza principale con gli Stati Uniti.
Il mercato statunitense, più grande e veloce, parte da un approccio culturale all’innovazione molto distante dal nostro, dove l’innovazione è accolta e perseguita, così come la possibilità di fallimento. Non si fa molta fatica ad andare a creare opportunità o dare opportunità a nuove iniziative di business. Negli Usa la startup sceglie l’investitore, mentre in Italia l’investitore sceglie la startup. La Silicon Valley vale due terzi del valore generato dall’ecosistema venture delle altre 10 che seguono. È la prima indiscussa, ma ci sono anche altri ecosistemi molto validi come quello di Londra (specialmente per tutto quello che è finanziario o derivante dal finanziario, come l’insurtech) e poi Tel Aviv per la parte più tecnologica e di ricerca scientifica.
E l’Italia? Una città che sta facendo molto bene, oltre a Milano, è Torino. Il capoluogo piemontese è forse quello che ha compreso meglio quanto anche i grandi gruppi industriali, ma anche tutto quello che è corporate e innovation, può dare al mondo del venture capital.