Da qualche tempo a questa parte una nuova innovazione tecnologica sta tenendo banco e sta facendo parecchio discutere. Ecco che cos’è la resurrezione digitale e perché sta creando polemica.
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Che cos’è la resurrezione digitale
“Ho perso una persona cara e vorrei moltissimo poterla sentire di nuovo, anche solo per un’ultima volta”. Da questo presupposto la tecnologia è partita e ha cercato di colmare un vuoto con una possibilità, che seppur fittizia, potrebbe andare a beneficio di molti.
Questo è però solamente un lato della medaglia, dall’altro ci sono le questioni legate al consenso del defunto, i dibattiti etici e metafisici su quanto sia giusto provare a sostituirsi alla natura che ha fatto il suo corso e anche quelli legati alla psicologia.
L’elaborazione del lutto è un processo delicato che segue le sue giuste tempistiche, è giusto che la tecnologia intervenga in tal senso? Può portare a riscontri negativi? Tutte domande lecite che gli esperti si stanno ponendo e che dovrebbero porsi anche coloro i quali stanno sfruttando questa tecnologia.
La resurrezione digitale altro non è che la possibilità di chattare in via telematica con un chatbot in grado di rispondere in modo molto simile a come avrebbe fatto la persona cara defunta. Un palliativo per diminuire il senso di vuoto provocato dalla perdita che però, per alcuni, non è positivo per chi ne abusa.
Come funziona la resurrezione digitale
Dopo aver capito che cos’è la resurrezione digitale proviamo a capire come funziona. Partiamo da un presupposto, il suo funzionamento è molto simile a quello di altri famosi chatbot come ChatGPT, Bring e Bard, solo per citarne alcuni, quello che cambia è il metodo di addestramento.
Infatti, se quest’ultime vengono addestrate sul web sfruttando le informazioni contenute in questo mondo, i chatbot di resurrezione digitale vengono addestrati utilizzando tutte le informazioni della persona defunta.
Parliamo di e-mail, chat, sms, messaggi vocali e altro ancora, ogni produzione digitale della persona che s’intende emulare è utile per l’addestramento. Che cosa accade dunque di conseguenza? Che quando si scrive a questo chatbot si riceveranno risposte molto simili a quelle che avrebbe dato il defunto.
Smile, modo di parlare, errori grammaticali, soprannomi, senso dell’ironia e via dicendo, la sensazione sarà quella di comunicare esattamente con questa persona. Chiaramente si tratta di un palliativo, come detto in precedenza, una resurrezione puramente digitale e non fattuale, per la quale nascono però delle ovvie domande di cui abbiamo parlato in precedenza.
Il sondaggio svolto
Un sondaggio svolto all’Università Nazionale di Seul, condotto dal docente Masaki Iwasaki, è particolarmente interessante. Il professore ha deciso di prendere a campione 222 adulti statunitensi, tutti diversi per età, sesso, background, istruzione e situazione economica.
Lo scenario presentato agli esaminati era il seguente: una ragazza morta in un incidente stradale e la possibilità per la famiglia e per gli amici di utilizzare l’AI per ricrearla digitalmente. A metà dei partecipanti è stato detto che la ragazza aveva espresso il consenso quando ancora era in vita, all’altra metà l’esatto opposto.
Il 58% dei partecipanti della prima metà ha asserito che sarebbe appropriato produrre tale AI se in presenza di un consenso scritto, il 97% per cento del secondo gruppo ha invece espresso la sua contrarietà.
Quello che emerge è una risposta ferma e decisa a una delle questioni poste nel primo paragrafo, il consenso del defunto, secondo i risultati di questo test, sembra essere necessario per la maggior parte delle persone.
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